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La nostra tradizione ci racconta di un rapporto tra cibo e vino, tra il pesce azzurro ed un sangiovese elegante e fresco…Il racconto e le interviste di Giorgio Melandri. Tratto dal catalogo di Enologica 2016

"La riviera romagnola è stretta tra l’Adriatico e quel fronte di colline che si allontana dal mare viaggiando da sud verso nord-ovest. A guardarla dall’alto quella striscia di terra sembra una lunga linea di confine che segnala doppia anima della Romagna, quella marinara e quella contadina.

Nella contaminazione tra questi due linguaggi c’è appunto la tradizione che sposa pesce e sangiovese, così come alimenta gli scambi che fino al Novecento hanno faticato ad arrivare in profondità nell’entroterra. Per questo il legame è più forte a Rimini e a Cesena, semplicemente perché sono vicine al mare, su percorsi che si potevano coprire facilmente anche in bicicletta. I pescatori dunque hanno una tradizione da sempre legata al sangiovese come compagno della tavola.

Ne ha parlato per primo Stefano Bartolini che già negli anni ’80 a La Buca, sul porto canale di Cesenatico, proponeva il tonno rosso alla brace abbinato al Romagna Sangiovese. Ricorda Stefano: “Era semplicemente la mia tradizione familiare. I pescatori stavano in mare molte più ore di oggi, le barche erano più lente, e partivano sempre con il bottiglione di sangiovese. Avevo uno zio che, come molti altri marinai, aveva addirittura piantato abusivamente qualche filare di sangiovese e clinto sui terreni sabbiosi nell’area Monti a Cesenatico. Ne usciva un vino semplice, ma era tale il loro legame con il vino che andava bene lo stesso. Quando negli anni ’70 i giovani cominciarono a portare in mare il vino bianco loro erano scandalizzati, quasi lo vivevano come un affronto alla loro virilità. Ci scherzavano sopra e diventò una giocosa rivalità.”. A parlare di Cesenatico è anche Gabriele Casali detto Gabalon che parla del ruolo delle mogli dei pescatori.

“ Mio nonno era un pescatore, usciva con la sua paranza, ma raccoglieva anche i cannelli gentili e le vongole sulla spiaggia nella bassa marea. Mia nonna andava a vendere in campagna in bicicletta e alle volte portava a casa qualche bottiglione di vino rosso. Finiva in tavola con le agostinelle fritte ripassate al pomodoro, le piccole triglie che si pescavano all’inizio di agosto… allora il fermo pesca non c’era!”

Più a sud, a Bellaria, ne parla Adriano Barberini, pescatore e figlio di Angelo, detto Mardazà, anche lui pescatore. “Io sapevo cantare, e cantavo per gli adulti, andavo all’osteria e stavo con i pescatori. A Bellaria non c’era una marina, i pescatori andavano soprattutto a Marina di Ravenna. Partivano con il treno il lunedì, poi restavano via anche due settimane. Quando tornavano si trovavano in osteria. Loro bevevano solo vino rosso, solo sangiovese. Le osterie facevano a gara a rifornirsi del vino buono, questo faceva la differenza. Anche a bordo si mangiava, e spesso due barche si appaiavano in mare per dar vita ad un momento di convivialità tra colleghi. E anche lì solo sangiovese, con il pesce povero soprattutto. In mare si faceva il brodetto la mattina presto, oppure i frutti (garrusi, bogoli, cappesante, cappesante). Molto pepe! Avevano un misurino enorme, ne mettevano in modo esagerato. A terra invece, sulla spiaggia, si faceva un fuoco e poi la brace. Al centro si cuoceva il pesce più grosso, tutto attorno si piantavano nella sabbia dei piccoli rami di tamerici che diventavano degli spiedi verticali."